E’ finita l’estate, sta per tornare la NBA, è tornato Unstoppable. E per rendere questo ritorno carico di significato, ho pensato di raccontare una delle prestazioni che mi ha maggiormente colpito, ripercorrendo la storia di questo gioco che tanto amiamo, per passione, determinazione e sfrontatezza. Ho avuto modo di vederla, inizialmente attraverso degli highlights con il DVD a lui dedicato della collana I-Love-NBA della Gazzetta dello Sport, e successivamente in versione integrale in uno dei miei periodi di “nullafacenza” estiva. Di chi sto parlando? Forse di una delle più grandi storie dello sport. Allen Iverson e Gara 1 delle Finals NBA 2001.
Partiamo dal principio, Allen nacque a Hampton in Virginia, da una madre single di soli 15 anni, il che lo costrinse presto a diventare l’uomo di casa, a 12 anni, occupandosi delle sue sorelle mentre la madre era a lavoro. La sua priva vera passione fu il football ma la madre, notando il suo grande talento, lo convinse a giocare anche per la squadra di basket della Bethel High School, nonostante le ire di Allen che riteneva la pallacanestro uno sport per femminucce. Era un leader nato. All’ultimo anno, Iverson guidò entrambe le squadre al titolo statale e venne premiato miglior giocatore sia per il football, sia per il basket. Lo sport sembrava poter essere la via di fuga dalla strada. Allen e i suoi amici andarono in un bowling a festeggiare ma vennero coinvolti in una rissa con dei ragazzi bianchi e ne subirono le conseguenze: vennero arrestati solo 5 ragazzi di colore, tra cui Iverson, e condannati inizialmente a 5 anni di carcere da un giudice razzista, salvo poi essere ridotti a 4 mesi dopo il ricorso in appello.
Dovevo utilizzare l’intera situazione come qualcosa di positivo. Andare in prigione, permette agli altri di vedere le tue debolezze ed esporle. Non ne gliene ho mai mostrata nessuna. Sono stato forte fino al giorno in cui sono uscito.
L’occasione del riscatto gliela diede la Nike, che lo invitò a partecipare ad un camp per mettersi in mostra di fronte agli scout dei college. Per coach John Thompson della Georgetown University non c’erano dubbi e gli offrì subito una borsa di studio. Nel suo anno da rookie, vinse il premio come miglior matricola della Big East ma i suoi Hoyas vennero sconfitti alle “Sweet 16” del torneo NCAA. L’anno successivo arrivò fino alla “Elite 8”, eliminati da Massachusetts. Allen era pronto per il salto nella NBA e fu il primo giocatore a non finire il college sotto la guida di coach Thompson. Philadelphia non ebbe dubbi e lo scelse al numero 1 del Draft del 1996: fu la più “piccola” prima scelta di sempre.
Sin da subito, Iverson si mostrò come un uomo in missione, un uomo che aveva contro l’intera opinione pubblica per il suo atteggiamento spavaldo, abiti, tatuaggi, capigliatura, il suo essere troppo egoista in campo e per non avere troppo rispetto di chi aveva intorno. Parliamoci chiaro: crescere nel ghetto nelle sue condizioni e subire un’ingiustizia come quella del carcere, non ti permettono di fidarti di nessuno ma solo sulle tue capacità: one against the world.
In quell’anno vinse il premio di Rookie of the Year con 23.5 punti, 7.5 assist e 2 rubate a partite; battè il record di Wilt Chamberlain con 5 gare consecutive oltre quota 40 punti e ne mise 37 contro i Bulls di Jordan al quale realizzò un indimenticabile crossover. Negli anni seguenti, Iverson e i suoi Sixers migliorarono passo dopo passo ma mai abbastanza da poter essere competitivi nei playoffs, tanto che Allen si scontrò più volte con il suo allenatore Larry Brown e chiese più volte di essere ceduto. Quando si rese conto che le trade lo avrebbero portato a Detroit o ai Clippers, Iverson mise da parte le sue convinzioni e per la prima volta di fidò di coach Brown. Con queste premesse iniziò la stagione 2000-2001.
Mi ha aiutato tantissimo, mi ha aiutato nel diventare il giocatore che sono. Se non ci fosse stato Larry Brown, non ci sarebbe l’MVP Allen Iverson.
Allen guidò a Philadelphia al primo posto nella Eastern Conference con un record di 56-26, compreso un 10-0 con cui iniziò la stagione. A febbraio vinse il titolo di MVP dell’All Star Game ma non si accontentò e con 31.1 punti di media, oltre a vincere il secondo titolo di miglior marcatore, si laureò MVP della stagione regolare, il più piccolo e il più leggero di sempre. Nei Playoffs superò 3-1 i Pacers al primo turno per poi ingaggiare una epica battaglia contro Vince Carter ed i Toronto Raptors nelle semifinali di Conference che si risolse solo a Gara 7; probabilmente una delle serie, non di finali, più emozionanti di sempre. Il titolo di campioni ad Est arrivò ancora al termine di una Gara 7, stavolta contro i Bucks di Ray Allen. Contro tutto e tutti, Iverson aveva portato Philadelphia alle Finals contro i Lakers campioni in carica di Shaq e Kobe che non avevano ancora mai perso durante i Playoffs.
Davide contro Golia: nessuno dava mezza chance ai Sixers di poter neanche mettere in discussione una partita, figurarsi di vincerne una. Ed effettivamente i Lakers in Gara1 volarono subito sul +13 dando credito a tutti gli addetti ai lavori. Iverson iniziò a carburare e dominò letteralmente il secondo quarto di gioco portando Phila in vantaggio al termine del primo tempo: il tabellino di AI3 registrava già 30 punti. I 76ers non si accontentarono e toccarono i 15 punti di vantaggio verso la fine del terzo quarto, prima che si scatenasse l’uragano O’Neal. Il centro dei Lakers segnò ben 18 punti nell’ultimo periodo mentre Tyronn Lue riuscì a limitare Iverson a soli 3 punti e 3 assist. Sul 94 pari, Mutombo sbagliò due liberi sanguinosi e la tripla della disperazione di Eric Snow si spense sul ferro. Overtime.
L’inerzia era tutta per i giallo-viola che volarono sul +5, ma non avevano fatto i conti col piccoletto in maglia 3 nera. Con un minuto da giocare Iverson aveva riportato in parità Philadelphia quando ricevette palla in angolo da Raja Bell. Isolato, un 1vs1 contro Tyronn Lue: un paio di finte, palleggio verso la linea di fondo, step-back con un palleggio tra le gambe, arresto, tiro, solo rete. Lue cadde a terra nel tentativo di stoppare Iverson che, con un gesto di pura arroganza, di chi sa che niente e nessuno può mettersi tra lui e la vittoria, lo scavalcò e se ne tornò in difesa. I Lakers al tappeto, Phila aveva scioccato il mondo intero.
Allen Iverson chiuse l’incontro con 48 punti, 6 assist, 5 rimbalzi, 18/41 dal campo, 3/8 da 3 e 9/9 ai liberi. The Answer . LA Risposta, la risposta a tutti coloro che lo avevano criticato, dicendogli che non ce la avrebbe mai fatta, che era troppo piccolo, troppo egoista. La sua redenzione.
Ciò nonostante i Lakers vinsero la serie 4-1 ma, da quella Gara 1, improvvisamente Iverson aveva guadagnato il rispetto che si meritava. Da quel momento sarebbe stato accostato ai più grandi: era entrato nel cuore della gente.
Sfortunatamente quello fu il punto più alto della carriera di AI. Tra infortuni e nuove diatribe con coach Brown, Phila non riuscì a ripetersi e il coach se andò al termine del 2003. Nonostante Iverson continuasse su medie stellari, la squadra non riuscì a supportarlo finché non chiese di essere ceduto nel 2006. Il periodo ai Nuggets fu condito da alti e bassi, ma il lento declino era iniziato. Nel 2010 tornò nella sua amata Philadelphia, ma era ormai l’ombra del giocatore ammirato una decade prima: la sua miglior prestazione fu di 23 punti, guarda caso contro i campioni in carica dei Lakers di Kobe Bryant. Dopo una breve parentesi in Turchia al Besiktas, annunciò il ritiro e, dopo solo qualche mese, venne inserito nella classe della Hall of Fame assieme a Yao Ming e Shaquille O’Neal.
Ho sempre voluto essere me stesso. Ora guardatevi intorno nella NBA e tutti hanno tatuaggi, molti le treccine. Ora vedrete persino poliziotti con le treccine.
Non poteva esserci citazione più adatta, per poter descrivere l’impatto che Allen Iverson ha avuto sul nostro gioco. Long Live The Answer.
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Veramente dire che il giudice era razzista è scorretto e indica scarsa conoscenza dei fatti e una mentalità tipica di sinistra: dopo uno scambio di paroline gentile da ambo le parti, furono i neri ad alzare le mani per primi. Iverson era inizialmente dietro le quinte ma rimedò subito. In realtà anche le controparti furono processate ma furono scagonate da delle telecamere di sorveglianza. VI suggerisco di fare i giornalisti, non i cantastorie. E – altro suggerimento – credo dovresti limitarvi a raccontare il basket. Saluti e complimenti per il sito.