Andrea Trinchieri, fresco vincitore della Bundesliga tedesca con il suo Brose Bamberg, ha rilasciato un’intervista esclusiva a BasketUniverso dove ha parlato a 360 gradi della sua esperienza in Germania, del suo futuro, di Nicolò Melli ma anche della nazionale azzurra impegnata al Pre-Olimpico di Torino.
Ringraziamo anzitutto Trinchieri per l’infinita disponibilità e anche il Brose Baskets Bamberg per averci concesso l’intervista.
Quest’anno ha vinto la seconda Bundesliga di fila con il Bamberg: quali sono state le chiavi di questa vittoria e com’è giocare sapendo di essere i favoriti indiscussi, un po’ come capita a Milano tutti gli anni in Italia?
“Abbiamo cercato di non concentrarci solamente sul risultato della partita, della stagione, ma su di un sistema di gioco, anche perché è quello che la proprietà mi ha chiesto: una qualità di gioco alta, non per forza spettacolare, perché la spettacolarità è molto soggettiva, ma abbiamo provato a mettere in campo un sistema di gioco riconoscibile che per me consiste nel mostrare un’interazione tra i giocatori molto marcata, e questo ci ha portato ad elevare la qualità dei singoli giocatori, come strumento per raggiungere un livello più alto. Io credo che tutto passi dal migliorare individualmente i giocatori che fanno parte di questo sistema; non possiamo accedere al mercato di prima fascia, quindi dobbiamo trovare dei ragazzi che possano partire da un punto A e, in tempi ragionevolmente brevi, arrivare ad uno più alto.
Detto questo, abbiamo avuto la fortuna, la bravura, ma soprattutto la competenza, di trovare persone che si sono tuffate in questa avventura e hanno alzato il loro livello giornalmente e questo ha fatto sì che, vedendo i propri miglioramenti, il giocatore non ha più paura di niente, perciò essere favoriti diventa un ulteriore stimolo. Noi ci mettiamo la pressione da soli, ogni giorno, quindi la “pressione” classica del risultato sportivo è una cosa che ricerchiamo e, a volte, riusciamo a non vivere per il semplice fatto che cerchiamo di fare il nostro meglio. Nessuno può chiederci più di quello perché nessuno può assicurare con certezza un risultato nello sport poiché entrano in gioco troppe variabili nel corso di una stagione, quindi abbiamo cercato di prendere una strada diversa ed ha funzionato. E’ stato estremamente appagante, travolgente per la crescita della qualità del gioco espresso, e adesso siamo qua: fa tutta la differenza del mondo, secondo me, in questo momento, non solo quello che fai ma come lo fai”.
Con questa vittoria della Bundesliga vi si siete anche qualificati matematicamente alla prossima Eurolega, per il secondo anno di fila. Quest’anno siete usciti di un niente alle Top 16, come valuta il cammino della sua squadra e, soprattutto, ha qualche rammarico?
“Rammarichi ZERO. Zero rimpianti, anzi, prendo tutto quello di bello che è venuto perché abbiamo avuto una serie di attestati di stima da grandi squadre e giocatori per come giocavamo. E poi non dobbiamo dimenticare che noi siamo riusciti a battere il CSKA, campione d’Europa, abbiamo perso in casa una sola volta contro i moscoviti nel primo girone e poi le abbiamo vinte tutte tra le mura amiche, tranne contro il Real allo scadere, ma giocavamo a Norimberga. E’ stata una stagione straordinaria, vissuta a tavoletta senza mai guardarsi indietro e prendendo le mazzate sui denti che ci hanno fatto crescere, senza paura. Stagione da libro Cuore”.
Cosa ne pensa del nuovo format dell’Eurolega?
“Non lo so. Sarà sicuramente molto più dura; ci sto pensando molto spesso ultimamente ma non ho una risposta chiara. Da una parte è vero che ci sono le 16 squadre migliori d’Europa, forse ne manca qualcuna perché si potrebbe arrivare tranquillamente a 24, e non ci sono partite intermedie contro squadre nettamente inferiori. Però il rischio è che si spacchi la classifica molto presto tra le aventi diritto e le ‘cenerentole’ ed ho il terrore, e perciò lotterò con tutto me stesso, di essere in affanno già a dicembre. La cosa peggiore è non avere più obiettivi con quattro mesi davanti, ma dobbiamo riuscire a rimanere dentro tutte le competizioni, anche se non so come”.
Quest’anno avete aggiunto il “nostro” Nicolò Melli al roster. Come valuta la sua stagione e come mai proprio Melli, visto che l’anno passato era oscurato dalla presenza ingombrante dell’ex NBA Linas Kleiza?
“Semplicemente bravissimo. E’ stato una trave portante di una stagione che abbiamo chiuso 13-11 in Eurolega e 40-3 in campionato, compresi i playoff. E’ stato un giocatore franchigia, si è calato nella realtà con umiltà e personalità: sono due cose che potrebbero stridere, ma lui è riuscito a farle convivere. Sono orgoglioso di come ha giocato, di quanto è maturato, e sono anche felice di aver incrociato un giocatore così nella mia carriera; lui avrà certamente parte in un capitolo importante del mio libro che scriverò prima o poi, come ce l’hanno Spanoulis, Zisis, Wanamaker, Mazzarino, gente che per motivi diversi ha lasciato un segno nella mia vita”.
Ormai è uno dei migliori allenatori d’Europa e i risultati parlano per le: rimane al Bamberg? E, soprattutto, Gerasimenko ha fatto una telefonata nei mesi scorsi?
“Credo proprio che rimarrò in Germania. Se Gerasimenko mi ha chiamato, forse avevo il telefono staccato. Non scherziamo”.
Melli invece rimarrà una colonna portante del suo Bamberg?
“Ho imparato che non bisogna mai dare nulla per scontato e non lo farò nemmeno questa volta, ma ci conto”.
Se dovesse scegliere un solo giocatore di questo Brose che si porterebbe ovunque?
“Guarda, farei un torto a tantissime persone e poi questo è uno sport di squadra. Ognuno dei miei giocatori ha avuto un ruolo importante, in momenti e modi diversi, in quest’annata, perciò non farò mai un errore del genere”.
Nemmeno Zisis?
“Io me lo sono portato ovunque!”. (ride)
Visti i grandi risultati ottenuti in Europa, attualmente nella sua testa balena l’idea di andare in NBA?
“Sicuramente è un obiettivo. Quando allenavo in Serie B volevo allenare l’Eurolega, adesso che ci alleno, voglio sempre migliorarmi. Non ho la presunzione di andarci da capo-allenatore, però la vita americana mi attira. Non ne faccio comunque una malattia, mi diverto già tantissimo con quello che faccio”.
Recentemente ha detto che giocate il miglior basket d’Europa, è vero?
“Non ho mai detto questo e chi ha tradotto così ha già pagato inginocchiandosi sui ceci (ride). Io ho detto che per il livello tecnico della mia squadra e per battere certe compagini abbiamo dovuto giocare la miglior pallacanestro possibile in Europa; questo era il concetto, perché a livello di talento non ce la facevamo a competere, e quindi, a volte, abbiamo avuto un altissimo livello di gioco”.
Parliamo di assistenti, tra presente e passato: Nicola Brienza. Lui è stato uno dei più forti candidati per la panchina di Cantù (ora andrà al Lugano, ndr), crede fosse pronto per una piazza storica come quella brianzola?
“Io ti rispondo: Cantù è pronta ad avere un giovane e bravo allenatore? Perché spesso ci si dimentica che ci sono due estremi della discussione. Ogni allenatore ha le sue peculiarità, le sue esigenze, le sue idee che vanno supportate, perciò bisogna anzitutto capire se la Cantù di oggi è pronta per un coach giovane e bravo che si è fatto le ossa e che darebbe tutto per la squadra, ma che ha anche i suoi difetti. Quando ero un giovane allenatore pensavo che l’esperienza fosse solo una parola, ma ora posso dire che conta tantissimo: quando non ce l’hai, non ti accorgi della sua importanza, ma quando ce l’hai, è tutto diverso”.
Per quanto riguarda Federico Perego, quant’è importante il suo lavoro ma soprattutto quanto influisce anche il bel rapporto umano che avete?
“Abbiamo avuto tantissime visite dall’Italia, allenatori, dirigenti… Anche perché Bamberg è un po’ come la vecchia Treviso: geograficamente è simile, posto piccolo con tanta passione. A me dispiace per Federico perché in Italia vige la regola “lontano dagli occhi, lontano da tutti”, perché farebbe le fortune di tutti i club italiani. E’ un grandissimo lavoratore, un grandissimo professionista e poi è proprio bravo; non ha avuto paura dal giorno alla notte di farsi la valigia e di prendere e lasciare tutto, senza essere conosciuto da nessuno ma guadagnandosi tutto il rispetto e il credito possibile ogni giorno in palestra. Mi dispiace dirlo, mi piange il cuore: ci sono tantissimi giovani allenatori o allenatori che non hanno avuto un’opportunità di dimostrare quanto valgono. Io me lo tengo stretto, sono un uomo felice e basta”.
Negli ultimi anni avete “saccheggiato” il campionato italiano, puntando su Wanamaker, Melli e altri: ha mai pensato di portarsi in Germania Abass, visto che lo ha anche allenato?
“Sì, assolutamente. L’avrei preso molto volentieri e ci avrei costruito anche sopra qualcosa, però i giochi erano già fatti, avevano già deciso di fare questa scelta che è sicuramente interessante e vedremo come andrà”.
Invece la carta Gentile è per voi impossibile a livello economico?
“Mah… Non lo so. Sicuramente c’è uno scoglio economico importante perché noi non possiamo fare quella corsa lì. Io sono molto curioso di vedere Ale fuori da Milano, perché è il tipico giocatore che adoro: quattro ruote motrici, durezza, intensità, e cambiare è lecito, però purtroppo non siamo in corsa”.
Parlando un po’ di nazionale, anche lei pensa che questa sia la più forte di sempre e che ce la possano fare ad andare a Rio?
“La nazionale più forte di sempre è quella che ha ottenuto i risultati migliori di sempre. Questa è una squadra che ha talento, chimica, fisico, hanno tutto, devono semplicemente fare i risultati. Te lo metto per iscritto: è molto più facile fare bene all’Olimpiade che al Pre-Olimpico. Ma hanno preso in panchina l’unica persona che può far fare il ‘click’ definitivo a questi ragazzi e questo è Ettore Messina. Gallinari è onnipotente, li ho visti veramente bene a Bologna, hanno davvero tutto. Sinceramente sono molto fiducioso e sarei anche molto contento per Nicolò (Melli ndr) perché credo che i giocatori, più esperienze si facciano, più possano migliorare”.
Secondo te Danilo Gallinari è il più forte italiano di sempre?
“Non lo so, queste cose non le so fare. Se adesso tu mi chiedessi ‘Chi è il più forte europeo di sempre?’, io ti direi Drazen Petrovic, ma te lo direi per cuore, perché lo sento nello stomaco. Sicuramente è il giocatore più forte a livello di talento, capacità di gioco, comprensione, può fare più ruoli, può giocare ovunque e io adoro i giocatori di questo tipo, però prima lasciate fare a questi ragazzi il Pre-Olimpico, e poi tracceremo e le dovute conclusioni”.
FEDERICO PEREGO, assistant coach di Trinchieri
Ormai svolge il ruolo di assistente di Trinchieri da molti anni, con grandi risultati. Quant’è importante il rapporto interpersonale dopo così tanti anni di collaborazione oppure si può arrivare così in alto anche non essendo amici, ma solo colleghi?
“Chiaramente con Andrea c’è ormai un rapporto consolidato anche fuori dal campo, ma non saprei dire quale sia la formula ‘perfetta’. L’essere amici può essere un vantaggio ma anche uno svantaggio, perché può capitare di mischiare un po’ lavoro e rapporto personale. Per fortuna fino ad ora siamo riusciti a lavorare bene e con rispetto dei ruoli. Per il resto credo che, oltre al lungo periodo di collaborazione, anche il fatto di aver passato qualche anno lontano da casa abbia rinforzato il legame. Devo dire che però ormai si è creato un gran bel gruppo nello staff”.
Il ruolo del vice è sempre troppo spesso sottovalutato; ci dia una descrizione di quello che fate dentro e fuori dal campo, intendendo l’analisi dell’avversario, la parte tattica…
“Non so se il lavoro sia sottovalutato o no. Andrea ha un gran rispetto di quel che facciamo Ilias, io e Dominik (il ragazzo tedesco che ci aiuta da quest’anno). Si fida di noi e abbiamo grande libertà e tra ufficio e campo riusciamo ad avere un’esperienza ‘intera’ con la squadra. Insomma, non ci si limita allo scouting, ma siamo molto attivi anche sul campo. Per quel che riguarda l’analisi degli avversari, la maggior parte del tempo è dedicata al taglio delle partite, di solito 4 o 5, poi c’è tutta la parte da scribacchino: si preparano il playbook, le statistiche dei giochi, il materiale da consegnare ai ragazzi. In più in ufficio abbiamo una lavagna abbastanza grande dove scriviamo tutti i temi della partita e le prime proposte per il game plan, così da avere tutto sotto controllo. Nel frattempo si preparano i vari video per le riunioni con la squadra, in genere 2 o 3 per essere brevi e precisi ogni volta”.
Il sogno di (quasi) tutti i vice è diventare capo-allenatore. Anche lei un giorno vorrebbe lasciare Trinchieri per intraprendere una sua carriera personale da head coach?
“Senza dubbio il sogno di diventare head coach è anche il mio. Per il momento però va bene così, vedremo in futuro.”
Il vice allenatore è notoriamente quello che ha più familiarità con i giocatori e spesso deve anche svolgere il compito di psicologo. Tra i tantissimi ragazzi che ha allenato, qual è quello con cui ha stretto un rapporto più amicale rispetto agli altri e quello che invece reputa più intelligente, dentro e fuori dal campo?
“Questa è una domanda cattivissima… Ho avuto la fortuna che tutte le squadre con cui ho lavorato fossero composte da ragazzi con cui ho sempre passato il tempo volentieri. Fare un nome è davvero difficile, anche perché mi sento ancora con molti dei giocatori che ho allenato in passato”.
Ci dia un profilo di Trinchieri, magari raccontandoci alcuni aneddoti per capire che tipo di persona è Andrea dentro e fuori dal campo.
“Andrea, ma non dico nulla di nuovo, è un allenatore esigente e clamorosamente preparato. Però ha una grande capacità di ‘separare’ ciò che avviene in campo da quello che accade fuori. E’ capitato che finisse un allenamento leggermente arrabbiato, poche volte per la verità quest’anno, e poi dopo mezz’ora ci si rivedesse per cena e fosse il primo a scherzare. A cena, ovviamente… Un po’ meno il giorno dopo in allenamento. Gli aneddoti, mi dispiace, li teniamo per noi, però tra tutti ci sarebbe da scrivere un gran bel libro!”.
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